Ma perché vogliamo assolutamente ascoltare l'arabo al Festival di Avignone?

Scegliere l'arabo come lingua ospite al Festival di Avignone è una mossa molto più rischiosa che scegliere l'inglese o lo spagnolo. È la lingua di alcune delle persone più sofferenti oggi, la lingua delle ex colonie francesi, la lingua delle comunità che subiscono razzismo e discriminazione nel nostro Paese. Quindi, ovviamente, il fatto che se ne sia sentito parlare così poco, a metà del Festival, sta innervosendo alcuni spettatori e critici.
Pochi testi, poco linguaggio, molta danza e un sacco di spettacoli che non hanno nulla a che fare con l'arabo. Questa constatazione, a volte deludente, a volte decisamente disgustosa, la dice lunga sulle nostre aspettative, indubbiamente ampiamente gonfiate da quel famoso senso di colpa bianco – il senso di colpa dei bianchi verso le popolazioni oppresse – di cui parlano gli anglosassoni. Nelle sale e nei chiostri del Festival, non sono in molti a comprendere il messaggio trasmesso in arabo che esorta lo spettatore a spegnere i cellulari (ma "è bello", abbiamo sentito dire).
Coloro che, giustamente, si sentono offesi dalla mancanza di arabo nel Festival sono talvolta anche coloro che attribuiscono questa unica identità agli artisti arabi.
Libération