Addio allo storico Giuseppe Parlato allievo di De Felice, amava la Puglia

Vogliamo offrire il nostro contributo affinché sia sempre più plurale l’interpretazione storiografica dell’Ottocento e del Novecento»: era questa la missione di Giuseppe Parlato, già rettore dell’Università internazionale di Roma, storico e allievo del maestro Renzo De Felice, amante della Puglia a cui riservava ogni anno un settimana per unire impegni da conferenziere con il rivedere antichi amici (a partire dal professore martinese Vito Fumarola e dall’avvocato Roberto Russano). È scomparso lunedì sera, dopo aver lottato contro un male incurabile che non aveva fiaccato la sua dedizione alla ricerca nei meandri del Novecento. L’ultima parte della sua vita l’aveva dedicata alla Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felicedivenuta una palestra di talenti in un’area che - pur maggioritaria in questo tempo - è sempre stata disabituata a creare network in grado di incidere nell’immaginario.
In una stagione nella quale la rilettura del secolo scorso, dopo gli studi encomiabili di De Felice (ma anche di Francesco Perfetti, Claudio Pavone, Emilio Gentile e Pasquale Serra), è ora spesso ostaggio di propagandisti o di giornalisti dalla modesta erudizione, Parlato rappresentava l’anima realista della storiografia italiana, per la sua mitezza d’animo unita ad un rigore nell’interpretazione dei documenti, una regola scientifica che lo rendeva inattaccabile anche quando le sue revisioni toccavano totem identitari.
Quattro suoi libri rimarranno come capisaldi nella storiografia contemporanea: sono La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Fascisti senza Mussolini, La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale, tutti per Il Mulino, Mezzo secolo di Fiume, per Cantagalli.
L’approfondimento sulla sinistra fascista ha cancellato le letture riduzioniste della stagione mussoliniana a mero reazionarismo: Parlato ha unito nei suoi studi riviste, pubblicazioni studentesche, programmi e testimonianze dimostrando che non si trattò di un «fascismo impossibile», ma di una tensione ideale anticapitalista e socialisteggiante declinata anche in leggi e regolamenti. In Fascisti senza Mussolini scoprì documenti inediti sulla transizione dal regime alla Repubblica, evidenziando il ruolo cruciale di Pino Romualdi, già vice segretario del Partito fascista repubblicano, ma soprattutto interlocutore degli Usa nel percorso che portò tanti ex Balilla a partecipare alla vita politica della nascente democrazia. Dedicò un saggio alla scissione di Democrazia nazionale, confermando il ruolo svolto dalla Dc.
In Puglia aveva la consuetudine di soggiornare a ridosso del dieci febbraio, periodo nel quale illustrava a tante comunità studentesche la vergogna della persecuzione operata dai partigiani comunisti di Tito nei confronti degli italiani del confine orientale. Era così appassionato della Valle d’Itria che descriveva in maniera immaginifica un suo soggiorno in una cummersa, e concesse uno dei suoi scritti più preziosi La Nazione dei nazionalisti, tentativo riuscito di riabilitare una categoria a lungo equiparata, erroneamente, al fascismo, alla casa editrice della tarantina Enrica Fallone.
La Gazzetta del Mezzogiorno