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«La Cena delle Anime»: Maria Laura Berlinguer racconta il suo Sud magico, profondo e femminile

«La Cena delle Anime»: Maria Laura Berlinguer racconta il suo Sud magico, profondo e femminile

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Domenica 31 Agosto 2025, 07:00

Di fronte a un tramonto sul mare, c’è qualcosa che accomuna profondamente la Sardegna e la Puglia. Non è solo la bellezza del paesaggio, ma un legame più sottile, fatto di storia, di spiritualità, di silenzi pieni di ricordi. È proprio da questa affinità che nasce La cena delle anime (HarperCollins Italia), l'ultimo romanzo di Maria Laura Berlinguer, un’opera che affonda le radici nella tradizione sarda ma che parla – sorprendentemente – anche alla Puglia, e a tutte quelle terre di Sud che portano con sé una memoria antica, stratificata, spesso dimenticata.
L'autrice sarà in Puglia il 31 agosto a Bisceglie e il 1 settembre a Ceglie Messapica per presentare il suo romanzo in uscita il 2 settembre e che è già in corso di pubblicazione in diversi Paesi europei. L'opera intreccia memoria, spiritualità, storia e mistero con una scrittura sensoriale che avvolge il lettore. A fare da sfondo non è una Sardegna da cartolina, quella dei Mamuthones e del mare cristallino, quanto piuttosto un’isola animata da riti arcaici e figure femminili potenti. Il titolo stesso del romanzo fa riferimento a uno di questi: sa hena pro sos mortos – “la cena delle anime” – un antico rituale sardo in cui, nella notte dei morti, si lascia il tavolo apparecchiato per gli spiriti degli antenati. «È un momento sospeso – racconta l’autrice – in cui i vivi e i morti si incontrano, non come fantasmi, ma come guide, come presenze gentili, come memoria attiva».

Nel romanzo si avverte il respiro del tempo e delle generazioni. Cosa l’ha spinta a raccontare una storia sospesa tra passato e presente?

«La memoria è il punto di partenza. Esiste una memoria individuale, legata alla famiglia, e una più collettiva, storica. Mi interessava intrecciare questi due livelli. Sono convinta che la memoria, se non viene soffocata, possa convivere con la storia e diventare racconto. Ho voluto fare questo: recuperare storie personali che si incrociano con i grandi eventi».

La Sardegna che descrive è antica, quasi magica, ma anche cruda e concreta. Che legame ha con questa terra e quanto ha influenzato il romanzo?

«Fortissimo. La Sardegna non è solo mare e cibo. Come la Puglia, è una terra di contrasti, di storie profonde, di eredità culturali dimenticate. Volevo restituire quella Sardegna fatta di studiosi, donne forti, di tradizioni antiche e spesso dimenticate».

Iride, la protagonista, torna a casa dopo anni e scopre segreti di famiglia sepolti. Perché, secondo lei, le verità familiari fanno così paura?

«Perché possono condizionare. C'è un'intera branca della psicologia che si occupa di questo: la psicogenealogia. I segreti familiari generano silenzi, fantasmi, cripte. E noi, senza saperlo, ne portiamo il peso. Scavare nella memoria può liberarci, permetterci di conoscere davvero chi siamo».
"Sa hena pro sos mortos", la cena delle anime, è più di un rituale. Da dove nasce questa scelta narrativa così suggestiva?«Per caso. Studiando nella biblioteca in lingua sarda, ho scoperto questo rito bellissimo, ancora vivo in alcune zone. In Sardegna, la morte non è una fine, ma un passaggio. I morti tornano come spiriti benevoli, custodi, che ci aiutano a vivere. Un concetto che mi ha affascinato e che ho voluto portare nella narrazione».

Nel romanzo convivono spiritualità, storia, psicologia e mistero. Come ha lavorato sull’equilibrio tra questi elementi senza appesantire la trama?

«Con leggerezza. Non volevo scrivere un saggio, ma raccontare. La leggerezza non è superficialità: è uno stile. Volevo che tutti potessero leggere il mio romanzo, anche chi non conosce la Sardegna, e innamorarsene anche attraverso i sensi: le regioni del Sud non si possono raccontare senza i sensi. Il rumore del vento tra gli ulivi, il profumo della terra, il sapore dei piatti. Tutto è narrazione».
Molti personaggi femminili, da Tata a Mimì, hanno forza, dolore e segreti. È un romanzo profondamente femminile?«Assolutamente sì. Credo molto nella forza delle donne e nella sorellanza. Le donne che racconto sono custodi di tradizioni, ma anche di emozioni, di sapere empatico».

Il passato qui non è solo ambientazione, ma anche un personaggio. Per lei scrivere questa storia è stato anche un viaggio nella sua memoria personale?

«Senza dubbio. Il mio bisnonno era archeologo e collezionista. Mi ha trasmesso il gusto per la scoperta. Alcuni reperti che ha donato al Museo Sanna mi hanno ispirato. Le sue storie, raccontate da mio nonno, mi hanno accompagnata nella scrittura ed è stato anche un modo per ritrovare quelle radici perse nei meandri del tempo».

C'è un forte richiamo all'identità e all'eredità invisibile. Iride eredita molto più di una casa. Era questo il messaggio?

«Esatto. L'eredità vera non è materiale. È fatta di valori, di consapevolezze, di domande irrisolte. Iride, scoprendo la verità, trova se stessa. Ed è un messaggio positivo: conoscere il proprio passato serve a costruire un futuro più autentico».

Se potesse sedersi davvero alla cena delle anime, quale personaggio della sua storia o della sua vita vorrebbe rivedere per una notte?

«Sicuramente Tata, la guaritrice. Quelle donne esistevano davvero. Erano figure di riferimento, capaci di curare non solo i corpi ma anche le anime. Della mia vita personale invece, vorrei rivedere il mio bisnonno. Mi piacerebbe sapere come ha fatto, cosa pensava. La sua curiosità ha acceso la mia».
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