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La Festa Italiana del 14 agosto al Caruso, a Belmond Hotel Amalfi Coast, raccontata dalla manager Iolanda Mansi

La Festa Italiana del 14 agosto al Caruso, a Belmond Hotel Amalfi Coast, raccontata dalla manager Iolanda Mansi

di Emilia Filocamo

La Festa Italiana del 14 agosto al Caruso, a Belmond Hotel Amalfi Coast, raccontata da Iolanda Mansi, General Manager della struttura. Di Emilia Filocamo

Agosto. Quasi alla metà. O alla meta. L’estate arriva al bilancio, al resoconto, al giro di boa è l’espressione forse più usata ma anche più banale. Ovunque l’attesa e la data diventano rito, necessità di liturgia atta a celebrarla. Gite fuori porta, occhi puntati verso le stelle, cene, spiaggia. Al Caruso, a Belmond Hotel Amalfi Coast, la tradizione si fa comunità con la Festa Italiana, format nato già da qualche anno che vede la struttura trasformarsi in una piazza di paese, come ce ne sono tante da nord a sud, e accogliere una tipica sagra. Luci tra gli alberi, stand di prodotti tipici, musica, allegria, la filosofia gastronomica dell’Executive Chef Armando Aristarco adattata all’occasione. A raccontare la genesi e il perché di una formula di successo è Iolanda Mansi, General Manager della struttura cinque stelle lusso di Ravello.

Direttore, perché anticipare di un giorno i festeggiamenti del Ferragosto? Volevamo evitare la coincidenza con gli eventi organizzati nelle altre strutture e, in un certo senso, inaugurare i giorni in cui celebrare il Ferragosto diventa d’obbligo.

Come nascono il nome e l’idea della Festa Italiana? Alla base c’è il core business della compagnia che vuole celebrare e supportare il genius loci e l’autenticità italiana. Il Caruso, storicamente e tradizionalmente, è simbolo dell’accoglienza e della villeggiatura, pertanto l’idea è stata quella di dedicare una serata allo stare insieme e ricreare l’atmosfera semplice, genuina e classica delle feste di una volta, tipicamente italiane.

In questa circostanza, come il Caruso si differenzia rispetto ad altre iniziative simili ed evita di cadere negli stereotipi? Diciamo che la formula è abbastanza familiare ma sicuramente ci caratterizza il fatto di voler “smantellare” per una sera quel senso quasi di invalicabilità di una struttura cinque stelle lusso e accogliere non solo gli ospiti ma anche quanti desiderano trascorrere una serata elegante ma con la semplicità, la convivialità e i colori di una sagra o di una festa patronale.

Di tutte le Feste Italiane che si sono tenute al Caruso, quella a cui è più legata magari per un episodio o un ricordo particolare? Quello che ricordo, e che accade spesso, è che ospiti che non si conoscevano, si incontrano durante la nostra Festa Italiana e, anno dopo anno, si ritrovano nella stessa data. Abbiamo un bel parterre di ospiti affezionati che prenotano proprio in coincidenza dell’evento e che tornano come se fosse una festa comandata, un appuntamento da non perdere.

Il sentimento che percorre il Team una volta conclusa la Festa Italiana? Sicuramente un misto tra malinconia, si è comunque a metà agosto, con l’estate che volge verso la fine, e soddisfazione per il risultato. E poi c’è anche tanta voglia di guardare avanti e di pensare già alla prossima edizione.

In un contesto in cui il turismo sembra essere ostaggio di alcune dinamiche non entusiasmanti, minacciato da picchi eccessivi e poi da stasi preoccupanti, questo tipo di iniziative, che rendono “ familiare” anche una struttura cinque stelle lusso e la contestualizzano maggiormente, legandola al territorio e alle usanze, costituiscono una strategia vincente? ssolutamente, perché è una strategia che vuole promuovere un turismo più consapevole, che non sfiora il territorio ma che decide di penetrarlo, di conoscerne tradizioni, abitudini, riti.

Il Ferragosto più bello del Direttore del Caruso, prima di diventare ambasciatore dell’ospitalità cinque stelle lusso? Tutti quelli che ho vissuto da adolescente quando, come tutti, ero più spensierata. Ecco, questo è proprio ciò che vogliamo ricreare per gli ospiti della nostra Festa Italiana.

L’intervista si chiude qui: c’è da pensare al menù, alle luci da sistemare nei giardini, alla lista di cose da fare, agli invitati. In fondo non si può amare un luogo senza conoscerne la storia e la storia è un campanile, una colonna, un’iscrizione latina, un libro con una dedica scritta a mano ma anche un piatto, un sapore, un’usanza che si tramanda con cura, con attenzione, proprio come se fosse una ricetta o un vecchio album di famiglia.

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