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Eneide

Eneide

Si sedette alla scrivania, accavallò le gambe, bevve dalla tazza di tè che era lì dal giorno prima e firmò su un foglio di carta, che appallottolò subito e gettò nella spazzatura. L'arrivo della lucidatrice in corridoio la fece trasalire: temeva di essere sorpresa dai colleghi. Per un certo periodo dell'anno, arrivavano ancora di notte per il turno di pulizie. In quelle prime ore, la casa della democrazia le sembrava un posto ancora più sicuro. Dove il frastuono e i passi di deputati e personale lasciavano il posto a discorsi enfatici e al tumulto di repliche e osservazioni, ora un romantico cavillo risuonava dal cellulare tenuto nella tasca del cappotto di Eneida, per tenerle compagnia mentre puliva gli uffici. Sulle scrivanie delle segretarie, documenti riservati, questioni di stato, a suon di musica, il lavoro procedeva contro il tempo, e poi Eneida sentiva la casa un po' sua, nel modo in cui le sue mani toccavano tutto senza apparentemente toccare nulla, le decisioni in balia del suo sguardo, anche se puliva senza vedere niente, se non il momento di finire e andarsene. La missione della squadra era preservare l'esatto disastro che avevano trovato, fingendo che le pile di carta si fossero pulite da sole. Non vedere né essere viste. Non lasciare traccia della loro presenza. Scomparire. A ventisei anni, Eneida non era una donna delle pulizie nella squadra dell'Assemblea della Repubblica. Era un'esperta nello scomparire. Pulirono l'aula, nessuno di loro poté votare. Si prendevano gioco dei costumi e delle pose comiche dell'oratorio. Li parodiavano tra loro lungo il corridoio dell'autobus, sulla via del ritorno, come in un film muto. I deputati più affascinanti e meglio vestiti erano oggetto di dibattito. Ed Eneida si immaginava invitata a pranzo, o a un ricevimento elegante. Alcuni la salutavano al passaggio, ma la maggior parte non la guardava nemmeno. Senza rendersene conto, vivere con gli occhi per terra divenne una seconda natura. Dopo cena, se era estate, Eneida e i bambini si riunivano nel cortile con i vicini, attorno a un tavolo di plastica. I più grandi giocavano a sueca, i bambini giocavano in gruppo, le donne si intrecciavano i capelli. Era l'ora del telegiornale ed Eneida rivedeva i grandi nomi dell'Assemblea. Provava la silenziosa soddisfazione di conoscere la calligrafia di ognuno e cosa si nascondesse in certi cassetti. Quando i bambini andavano a letto, da soli in soggiorno, si sentiva carina, guardandosi le braccia e le gambe incrociate. Andava a prendere lo specchietto e la crema idratante. Si lisciava i capelli all'indietro e si guardava il viso stanco. Si metteva la crema sulle mani, sulle braccia, sulle gambe. Si metteva in posa come una parlamentare, anche di nascosto dai suoi pensieri. Si immaginava di entrare nei Passi Perduti con la valigetta in mano. Si pentiva di non essersi impegnata di più a scuola. Come poteva andare da lì a un altro posto, quale altra strada poteva aprire? Una delle sue amiche del turno aveva trovato lavoro in un negozio di cosmetici ed era finita per seguire un corso. Altre donne del quartiere vendevano snack. Alcune erano stagiste e, sebbene non tornassero a casa durante la settimana, guadagnavano il doppio. Voleva studiare qualcosa. Non sapeva da dove cominciare. Si concentrava sul ricordo degli anni di scuola, un periodo in cui, per tristezza e mancanza di direzione, sopraffatta dagli obblighi domestici e dalle priorità sentimentali, aveva rinunciato agli studi.

Eneida e i suoi tristi sogni a occhi aperti. Già a letto, immaginava di fare male i compiti, di sputare per terra, di rovinare i fogli. Le veniva voglia di dipingere di rosso le labbra dei seni, di disegnare oscenità sui vetri delle finestre. In quell'intervallo sereno, l'unico della settimana, mentre i bambini russavano, abbandonati al suo respiro, sotto le coperte, prima di addormentarsi, non sognava un'altra vita, ma una libertà più semplice. Un giorno libero. Si mise a sedere sul letto, prese il cellulare. "Ho la febbre, signora Antónia. Non posso venire domani. Mi dispiace molto, cordiali saluti. Eneida." Quasi senza accorgersi del movimento delle dita mentre scriveva il messaggio, lo inviò immediatamente, quasi senza volerlo. Poi andò a letto con la luce spenta. Ma era irrequieta, si alzò e andò a sedersi in soggiorno, e rimase così per il resto della notte, a contemplare i mobili nell'oscurità.

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